domenica 20 giugno 2010

Voglia di mare

Il cielo è grigio, le nuvole sono cariche di pioggia ed io ho voglia di mare.
I miei piedi nudi affondano lentamente nella sabbia fredda. Mi avvicino alla riva e lascio che i polmoni si riempino di odore salmantro mentre i capelli cominciano a diventare pesanti per l'umidità.
Non c'è sole e le onde sono alte. Si infrangono rumorosamente ai miei piedi e l'acqua raggiunge la punta delle mie dita, non tento nemmeno di sfuggirle. Me l'aspetto gelata, ma non sento alcun brivido corrermi lungo la schiena.
Abbasso lo sguardo in cerca di conchiglie, ma ne trovo solo pochi frammenti.
Frammenti di conchiglie, e frammenti di ricordi.
Una stanza nella penombra, vestiti sparsi casualmente sul pavimento, dita che si intrecciano tra capelli scompigliati.
Il vento è forte e comincio a sentire freddo. Freddo sulla pelle e freddo sotto di essa.
Istintivamente porto la mano al collo, quasi per controllare che sia lì dove è stata messa.
Nè il vento umido, nè le onde alte e nemmeno la sabbia fredda l'hanno portata via.
La mia neve è ancora lì, dove l'ha messa. Calda come la mia pelle, come le sue mani.



Foto: Fiumicino, il mare di Passoscuro.
Foto2: Odeline che non riesce a stare lontana dall'acqua e si inzuppa tutti i jeans...

sabato 19 giugno 2010

Con le gambe sul tavolo


Salgo le scale di corsa facendo i gradini due a due, mentre mi sfilo il vestito botticelliano dalla testa.
Con una mano lo lascio cadere sul letto, mentre nell'altra ho già la maglietta nera dei Mothoread.
La indosso velocemente. E' molto più grande della mia taglia, mi arriva a metà coscia e mi copre tutto il necessario. Mi avvicino alla persiana ancora calda e con un rumore cigolate, da vecchio film dell'orrore la apro.
Sposto piano la sedia, posizionandola alla giusta distanza, ci giro intorno, lentamente mi siedo. Non ho più fretta. La bellezza di un rito sta nella sua calma.
Abbandono le ciabatte, sul pavimento e con un gesto fin troppo elegante per la situazione alzo le gambe e le appoggio sul tavolo.
Mi lascio cadere sullo schienale della sedia, mentre la fine tiepida di una giornata mi sta illuminando in pieno il viso sempre troppo pallido.
Gli occhi mi si chiudono un istante. Sono sola. Amo quella solitudine. Le gambe sono alzate e sembra che il sangue circolando più fluidamente vada a risvegliare i pochi neuroni che la fine della settimana ha reso intontiti.
Mi sembra già di sentirla... "Nina, metti giù quelle gambe, ma ti sembra il caso??? Un po' di educazione, sembri proprio una cammella..."
Sì, sì, lo so nonna che questa posizione non è fine ed elegante, ma è la mia posizione preferita, quella che davvero mi rilassa, quella che mi vede nel massimo della mia naturalezza. Quando allungo le gambe su un tavolo, o una scrivania, significa che sto proprio bene. Quindi, nonna, per una volta scuserai se riporto il pensiero che ti riguarda nel cassetto dei ricordi?
Il ricordo della nonna svanisce come una delle tante nuvole che stanno adombrando un cielo triste e caldo.
Mi sistemo ancora meglio, le mani si posano dietro la nuca ed accompagnano un nuovo pensiero.
E' davvero un peccato che certe persone compaiano nella mia vita, giusto il tempo per creare una mancanza.Entrano, insegnano qualcosa, si fanno amare, lasciano la loro traccia sulla mia pelle e poi riescono dalla porta di servizio. Ne vedo la scia come accade per le stelle cadenti nella notte di San Lorenzo. Stelle bellissime, lumisone, che attraversano il cielo per pochi istanti e a te non ne resta che il ricordo del loro passaggio.

Il vento si alza, i capelli intrappolati nella pinza cominciano a divincolarsi, una ciocca si libera ricadendo disordinatamente sul viso. Dovrebbe infastidirmi, ma non è così. La lascio libera di muoversi libera dalle costrizioni della pinza, libera dalle imposizioni dell'ordine, libera come sono io in quel preciso istante.

Le gambe sono sul tavolo, il cielo sembra incendiarsi , forse perché consapevole che io lo sto ammirando in tutta la sua sfacciata bellezza, ed io ho il sapore agrodolce della malinconia.
Meglio di così...

Foto: Roma, cielo prima di un temporale.

lunedì 14 giugno 2010

E il blog diventa privato






















Troppi occhi indiscreti. Troppa curiosità malsana.
Il blog diventa privato.
Mi spiace aver dovuto prendere questa decisione, perchè putroppo qualche amico non potrà più raggiungere i miei pensieri.
Spero che capirete la mia decione e che non ne abbiate a male.
Cercherò di rintracciare tutti voi e di "invitarmi" nella mia testa.
Se dovessi malauguratamente scordare qualcuno...vi prego fatemelo presente, che quanto prima rimedierò alla svista.
Di alcuni di voi non ho la mail, quindi se vi va potete contattarmi direttamente lasciandomi il Vs. indirizzo alla mia mail yams78@gmail.com
Grazie a tutti.

Foto: Roma, Olgiata, campo di papaveri

martedì 8 giugno 2010

Il santino

Stavo camminando pensando ancora alle parole del mio responsabile " Credo in lei signorina, non mi deluda"
Avevo ancora questi pensieri in testa, quando la vedo.
Vestita con una gonna informe lunga e sporca, altri tremila stracci sulle spalle e un foulard di un colore non ben definito in testa.
Era talmente ricurva su se stessa da sembrare un arco.
La vedo avvicinarsi al bidone della spazzatura che si trova lungo il viale di villa Borghese.
Le guardo le mani, sono anziane e rugose. Mi ricordano quelle di mia nonna.
Il cuore mi si stringe.
Tira fuori un tozzo di pane e mentre se lo porta alla bocca intravedo una smorfia simile ad un sorriso stanco.Mi sento piccola e stupida.
Accelero il mio passo mentre comincio a frugare nella mia grande borsa vanitosa.
Prendo il portafoglio e guardo la mia disponibilità.
Tre miseri euro. Nella mattina mi ero presa l'acqua, un marocchino al bar e una rivista...solo tre miseri euro erano avanzati.
Beh è tutto quello che ho...non ho altro.
Mi avvicino a lei e con un sussurro la chiamo.
"Mi scusi..."
Si gira, non mi domanda l'elemosina, ma mi sorride di un sorriso sdentato.
Allungo la mano mentre lei mi fissa continuando a sorride.
"Mi spiace non ho di più..."Le mani si allungano verso di me. Sono callose, vecchie sporche e stanche. Appoggio le mie monete e lei le richiude stringendole forte.
Mi congedo salutandola e riprendo la mia strada. Non finisco di posare il piede in terra che la sua mano rugosa mi afferra un braccio. Mi volto di scatto, uno strano timore mi aveva improvvisamente raggiunta. La guardo con occhi che sicuramente hanno lasciato scappare la mia ansia e rivedo il suo sorriso sdentato.
"Tieni signora che ti protegga"
Vedo materializzarsi il santino tra le sue mani...San Giovanni Battista...ed io che manco son credente...
" No per carità il santino no..."
"Prendilo signora, ascoltami...prendilo.... ti proteggerà"
Sussurro un grazie che probabilmente nemmeno lei avrà sentito mentre fisso quell'immagine muta.
Ripensando all'ultima volta che ho ricevuto una benedizione...il giorno dopo ho trovato un lavoro. Ed ora, che il mio contratto sta per scadere, ho un santino al quale non credo, stranamente custodito in un portafoglio vuoto.

Foto: Roma, Ostia

domenica 6 giugno 2010

Fotografie

Oggi nel tardo pomeriggio sono uscita sperando di fare qualche scatto al tramonto.
Amo quel momento della giornata. E' il migliore in assoluto. Non fa caldo, l'aria ha il tipico profumo della sera e il vento mi porta odore di erba tagliata scaldata dal sole, e di gelsomini notturni.
Anche l'altra sera ho respirato profumo di gelsomini.
Sono passata accando ad una siepe mentre in mano portavo cibo cinese e negli occhi una felicità quasi dimenticata.Giravo con la macchina fotografica in mano cercando l'attimo da fermare, sapendo perfettamente che l'unica cosa che avrei voluto trovare dietro l'obiettivo erano i suoi bellissimi occhi verdi.
Cercavo foto e trovavo stralci di attimi di vita insieme.
Il sole stava calando, i papaveri rossi sullo sfondo giallo della paglia...metto a fuoco e mi appare il suo sorriso mentre mi mostra una conchiglia che conserva da sei anni.
Cerco di cambiare soggetto.
Una balla di paglia. Mi fermo un attimo e mi scopro a pensare alle mie gambe intrecciate alle sue mentre sonnecchiavo serena.Niente da fare. Il sole sta tramontanto la luce che tanto mi piace sta scappando via.
Chiudo gli occhi, ripenso al suo modo di abbracciarmi, che mi fa sentire protetta, che mi da l'impressione che si voglia prendere cura di me.
Non posso non fissare questo tramonto. Non posso perdere questa luce, è troppo calda, è troppo malinconica, è tropppo bella.
Torno ai papaveri, torno al suo sorriso, ai miei piedi scalzi che scrocchiano sul suo parquet, al caldo di ieri nella sua stanza.
Scatto. Una due, tre volte.
Senza pensare troppo che luce è già cambiata, che la giornata è praticamente finita, che lo devo nuovamente salutare e che la cena cinese è stata una delle migliori della mia vita...


Foto: Roma, un campo al tramonto

LinkWithin

Blog Widget by LinkWithin